la storia della pasta

La storia della pasta

Amiche e amici oggi ripercorriamo insieme la storia della pasta, l’orgoglio made in Italy e il significato tramandato fino ai nostri giorni di un alimento senza tempo.

Pasta per noi italiani significa casa, famiglia, tradizione ed è per questo che è bene chiarire subito che la pasta non giunse da noi con il ritorno di Marco Polo dalla Cina come molti americani erroneamente credono ma nacque nella nostra Sicilia araba per poi diffondersi in tutto lo stivale.

Palermo, anno 1154

In questo periodo il geografo arabo Edrisi raccontava di “un cibo di farina in forma di fili”, chiamato “triyah” (dall’arabo “itrija”).

Pare infatti che la Sicilia fosse grande produttrice di pasta in vari formati e anche che ne esportasse in grandi quantità.

Si può affermare dunque che, non ci sia un inventore unico di questo formidabile alimento ma di sicuro si può indicare la Sicilia come terra dalla quale prese il via una tradizione che nel corso dei millenni risalì l’intero Stivale lasciandosi contaminare da innumerevoli sperimentazioni. 

La storia della pasta tra contaminazioni e origini sconosciute

Non si conosce per esempio il momento esatto in cui venne introdotto l’uovo nella preparazione della pasta fresca, ma si presume che il motivo per il quale ciò sia avvenuto riguarda da un lato sicuramente il gusto del prodotto finito e dall’altro la maggior malleabilità ed elasticità del composto durante la lavorazione.  

Già nel XII secolo i mercanti genovesi avevano diffuso la pasta dalla Sicilia occidentale (i legami fra Trapani e Genova sono noti e antichi, evidenti in gastronomia nella parentela tra pesto genovese e trapanese in tutto il Nord Italia, al punto che la pasta lunga e corta nel XV secolo era lì conosciuta – ne parlava il lombardo Bartolomeo Sacchi – come “trie genovesi” o “paste di Genova”. 

La storia della pasta e l’evoluzione

il gusto per la pasta “al dente” risale probabilmente al Seicento – si abbinavano i condimenti più vari: in genere, formaggio grattugiato in gran quantità e spezie in polvereBartolomeo Sacchi la consigliava “con capponi, uova e qualsiasi genere di carne”; nel XV secolo farà la sua apparizione anche il burro, spesso abbinato a zucchero e cannella.

In genere sulle tavole aristocratiche la pasta era considerata un contorno, per gli strati popolari era invece un piatto unico.

Ma la pasta, benché diffusa, non era ancora una pietanza del popolo.

Lo diventerà solo nel ‘600, quando una spaventosa carestia colpì il Regno di Napoli dominato dagli Spagnoli.

Nella città partenopea, la più grande d’Europa, il sovraffollamento demografico e il fiscalismo spagnolo portarono la popolazione alla fame (nonché alla rivolta di Masaniello): i consumi di carne e di pane crollarono e si fece largo l’ampissimo consumo di pasta.

L’essiccazione

L’essiccazione permise alla pasta di affrontare lunghi percorsi via mare, per i quali si specializzarono soprattutto i commercianti genovesi, chiamati solitamente e localmente fidellari, dato che, fidelli, era il nome dato agli spaghetti in questa zona del Nord-Ovest italiano, mentre nel resto d’Italia continuavano a essere chiamati vermicelli (e gli artigiani pastai soprannominati vermicellari), ma gli stessi tempo dopo prenderanno il nome di spaghetti.

La storia della pasta tradizione

La pasta è considerata dal popolo italiano, oltre che un alimento, un elemento di unione condiviso in tutta l’Italia: essa è parte integrante della vita, della cultura popolare (semplice ma tradizionale) di tutti gli italiani, non solo della loro cucina, ma della loro stessa essenza, da sempre.

Gli ambienti, i fenomeni e le atmosfere che girano e si creano intorno a un piatto di pasta, entreranno nell’immaginario collettivo riguardante l’italiano medio in tutta Europa e nel mondo intero, prima nella letteratura e nella musica durante il medioevo, poi nell’Opera e nel teatro del periodo rinascimentale e, infine, nel cinema, offrendo lo spunto per molti capolavori di fama internazionale, che sono da sempre parte dell’italianità. 

Riferendosi all’unità d’ Italia volte politicamente discussa, Cesare Marchi, riconobbe nella pasta un potente simbolo unitario e così la descrisse:

.una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva…»

G.Boccaccio Decameron VIII 3

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